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La posizione di SVEOD sulla proposta legislativa del Parlamento Europeo

Il punto di vista del nostro sindacato sulla proposta legislativa del Parlamento Europeo per eque condizioni di lavoro, diritti e protezione sociale per i lavoratori delle piattaforme – nuove forme di impiego legato allo sviluppo digitale (2019/2186 (INI)).

Con il piano d’azione per il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, la Commissione Europea ha dichiarato che presenterà per la fine del 2021 una proposta di legge sul miglioramento dei termini e delle condizioni di impiego dei lavoratori delle piattaforme digitali.

Secondo la U.E:

  1. a) gli impiegati delle piattaforme digitali sono dei privati che eseguono lavori o prestano servizi attraverso una piattaforma digitale;
  2. b) il quadro legislativo europeo in vigore non copre i nuovi sviluppi relativi a questa forma di impiego;
  3. c) si rende necessaria la revisione del quadro regolatorio.

Come sindacato ci troviamo in disaccordo con tale narrazione poiché riteniamo che:

  1. a) in quanto impiegati nelle piattaforme digitali siamo lavoratori con rapporti di lavoro dipendente e non privati, collaboratori, “fornitori autonomi”, liberi professionisti, partner o freelancer;
  2. b) il quadro legislativo europeo così suggerito, sostiene A TORTO che i nuovi sviluppi in questa forma di impiego non sono coperti dalla legislazione già presente nei paesi membri, e mira alla creazione di molteplici livelli di lavoratori con il principale obiettivo di abbassare il costo del lavoro per le imprese di intermediazione digitale.
  3. c) la revisione del quadro regolatorio dei rapporti di lavoro si rende necessaria per le imprese poiché gli conferisce la possibilità di sfruttare la frammentazione del lavoro e di legiferare al fine di scaricare i costi sulle spalle dei lavoratori.

Il lavoro per mezzo delle piattaforme costituisce un fenomeno in aumento, il quale è facilitato dallo sviluppo delle tecnologie digitali. Tuttavia, non ci stancheremo mai di ripetere che l’introduzione delle applicazioni (app) in qualsiasi tipo di lavoro riguardante le piattaforme, il lavoro d’ufficio, il call center, i magazzini, il delivery, non cambia in nessun modo la natura del lavoro. Se ci sbarazziamo dell’imballaggio digitale, le piattaforme non differiscono affatto dalle imprese tradizionali. Le supposte nuove opportunità, decantate allo sfinimento, relativamente al luogo, al tempo, alla flessibilità e alla frequenza del lavoro e alla prestazione dei servizi, continuano a costituire lavoro dipendente. E per essere più precisi, lavoro dipendente frammentato.

Come sindacato riteniamo che la digitalizzazione, per quanto riguarda l’introduzione delle applicazioni (app) nella ricezione e consegna di prodotti e servizi, abbia una funzione di disorientamento, in quanto cortina di fumo, e non riguardi la sostanza del lavoro. Anche per questo motivo non esiste nessuna ragione oggettiva per cui si debba rivedere la legislazione a spese dei diritti dei lavoratori. Il fatto che il lavoro tramite piattaforma (come è il caso anche per le forme tradizionali di lavoro) copra realtà diverse e sia caratterizzato da un alto grado di disomogeneità nelle attività svolte, non significa che i lavoratori non abbiano diritto a pieni diritti assicurativi e salariali.

Nelle aziende di intermediazione digitale, come in qualsiasi impresa, in qualsiasi settore economico, esistono diverse categorie del lavoro, e i profili dei lavoratori possono variare. Tuttavia in ogni singolo caso, ad eccezione dell’introduzione delle applicazioni (app), le caratteristiche dell’impiego, la natura del lavoro rimangono le stesse. Per esempio le collaboratrici domestiche continuano a pulire, a cucinare, a prendersi cura delle abitazioni, i fattorini a trasportare e distribuire prodotti, e gli altri impiegati che svolgono attività lavorative con la moto o la bici continuano ad offrire servizi. Per noi, la dipendenza del nostro lavoro nei confronti di un padrone è evidente di per sé, e per questo le legislazioni di tutti i paesi europei hanno legiferato per decenni che abbiamo diritto a lavorare con pieni diritti assicurativi e salariali, sia che lavoriamo otto o quattro ore al giorno, al mattino o alla sera, poche o molte ore la settimana. Non esiste alcuna ragione tangibile, argomento logico o nuova realtà che giustifichi la revisione del quadro regolatorio dei rapporti di lavoro, che giustifichi la violazione dei diritti dei lavoratori. E arrivati a questo punto, vale la pena sottolineare come le piattaforme investano coscientemente nel lavoro part time, nella sharing (gig) economy e nel micro-impiego, perché invocano, in sostanza, l’inesistente vuoto legislativo al quale abbiamo appena accennato, frammentando il lavoro ed eludendo la legislazione sul lavoro così come quella fiscale.

E mentre il quadro legislativo proposto dalla U.E. si sforza di convincerci che il lavoro tramite piattaforme faciliti l’accesso al mercato del lavoro attraverso moderne forme di impiego, la manipolazione digitale delle nostre scelte lavorative rende manifesta la seguente contraddizione: nonostante i lavoratori delle piattaforme tendano ad essere più giovani e più istruiti in relazione alla più ampia popolazione, una minoranza dei lavoratori percepisce entrate relativamente buone mentre la maggioranza è sottopagata.

Per porre la questione nel modo più discreto possibile, come sindacato riteniamo a dir poco errata la proposta della U.E. di inserire i fattorini, e non solo loro, nel regime dell’autoimpiego. Per noi, per il mondo del lavoro in Europa e in tutto il mondo, le nuove forme di impiego devono godere dello stesso livello di protezione sociale che sussiste per le tradizionali forme di impiego. La U.E. comunica che entro la fine del 2021 presenterà un’iniziativa legislativa per il miglioramento dei termini e delle condizioni di impiego dei lavoratori nelle piattaforme digitali. Tuttavia, nella sostanza, si muove nella direzione opposta. Cerca di indorare la pillola della nostra svalutazione, usa l’arte del potere al fine di ingannarci e di mettere in discussione il diritto del lavoro. Cerca di rovesciare l’attuale realtà legislativa introducendo procedure legali per la risoluzione di dispute sul diritto del lavoro che non esistono.

Si dice che il diavolo si nasconda nei dettagli. La stessa Bibbia ci insegna che per piazzare una “mela” serve possedere l’arte del bilinguismo. Stando dunque all’U.E., nel caso di procedure legali, i lavoratori non sono da considerare auto-impiegati, tranne nel caso in cui i datori di lavoro riescano a dimostrare l’assenza di un rapporto di lavoro dipendente.

Le continue pretese padronali per l’abbassamento del costo del lavoro, per il trasferimento delle tasse, dell’assistenza sanitaria e delle pensioni sulle nostre spalle, per la creazione di molteplici livelli di lavoratori, rientrano dalla porta sul retro nella forma di regolamentazioni legislative per la “protezione” dei nostri diritti e non per quello che sono veramente, cioè palesi violazioni del diritto del lavoro.

Esattamente come succede con la recente legge Chatzidàki (v. 4808/2021), per camuffare l’attacco padronale l’U.E. inserisce la proposta legislativa all’interno del “piano di azione del pilastro europeo per i diritti sociali”. E per davvero, i legislatori degli interessi padronali riescono ogni singola volta a farsi passare per ben intenzionati, vorrebbero che ci sentissimo male anche solo a pensare di mettere in discussione la loro integrità etica.

In quanto lavoratori che adoperiamo la bicicletta o la moto per conto delle piattaforme, esigiamo eque condizioni di lavoro, che significa contratti di lavoro a tempo indeterminato e pieni diritti assicurativi e salariali. Esigiamo copertura pensionistica e assicurativa. Esigiamo l’assicurazione sanitaria in caso di incidenti. Esigiamo che gli algoritmi per la ripartizione del lavoro e la valutazione dei lavoratori siano trasparenti, non discriminatori e legati ad un quadro etico. Esigiamo che i lavoratori impiegati nelle piattaforme, come quelli impiegati nei servizi di consegna del cibo, abbiamo gli stessi diritti dei lavoratori impiegati nelle imprese tradizionali, che abbiamo accesso a rappresentanze collettive come anche il diritto di partecipazione a trattative collettive. Esigiamo che le spese fisse come quelle per l’uso e la manutenzione della bici o della moto, della benzina, i mezzi di protezione personale o il telefono aziendale, ricadano a spese delle aziende.

I lavoratori delle piattaforme non sono inseriti “per sbaglio” tra gli auto-impiegati. Si tratta di una cosciente elusione delle nostre conquiste collettive e dei nostri diritti da parte delle piattaforme, che implica il trasferimento del costo del lavoro sulle nostre spalle e che esenta le imprese dal versare i contributi datoriali al sistema di protezione sociale.

Colleghi e colleghe,

presentiamo il nostro punto di vista come un primo campione, una prima analisi che indica la traiettoria degli obiettivi del sindacato nel prossimo periodo, nel mentre che le aziende di intermediazione digitale (piattaforme) hanno invaso le nostre vite a livello globale con lo scopo di riscrivere il diritto del lavoro a loro vantaggio.

Oggi, come SVEOD, fedeli ai 14 anni di presenza sindacale senza mediazioni, dichiariamo che in questa lotta saremo presenti, dalla parte della nostra classe, dalla parte della società lavoratrice.

Strutturiamo le nostre argomentazioni per mezzo di una logica semplice e del nostro vissuto comune. Leghiamo i nostri pensieri e il nostro sguardo alla lotta, all’allargamento del contrattacco collettivo di classe in Europa e nel mondo. Per dirigerci verso l’unica realtà che corrisponde alla dimensione e all’importanza della storia della nostra classe. Verso la vittoria.

SIAMO LAVORATORI E LAVORATRICI – NON COLLABORATORI O AUTONOMI

SCIOPERO INTERNAZIONALE DEI FATTORINI E DEI CORRIERI – 1° MAGGIO 2022

IL LAVORO NELLE PIATTAFORME NON È LAVORO AUTONOMO

LOTTIAMO OGGI PER L’IMPOSSIBILE, PER EVITARE UN INCONCEPIBILE DOMANI

 

16 Μαρτίου, 2022
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