In memoria di Theochàri Zòi…
La domenica del 9 febbraio 2022 tutti noi fattorini di e-food abbiamo letto sull’applicazione un messaggio che ci ha fatto raggelare: siamo stati informati della morte del collega 44enne Theochàri Zòi, il quale ha tratto il suo ultimo respiro in via Paleò Fàliro mentre lavorava. Esprimiamo la nostra vicinanza incondizionata alla familia di Theochàri Zòi. Sappiamo che chiunque di noi avrebbe potuto trovarsi al suo posto. Sentire questa notizia ci ha riempito di dolore e tristezza. Sappiamo meglio di chiunque altro quanto sia pericoloso il nostro mestiere e come possa condurci in ogni momento all’infortunio o persino alla perdita della nostra stessa vita. Nella stessa zona, il giorno precedente, erano stati coinvolti in un incidente altri due colleghi di e-food. Gli episodi che riguardano incidenti sul lavoro sia in e-food sia più in generale nel nostro mestiere accadono su base quotidiana/settimanale. E nel caso di Theochàri, la spietata realtà ha colpito con la certezza della statistica.
Tenendo conto di quanto appena detto, sappiamo anche che è sbagliato imputare la moltitudine degli incidenti sul lavoro al “momento sfortunato”. Contro il fatalismo, abbiamo il dovere di mantenere il sangue freddo e individuare con animo imperturbabile le ragioni che ci portano a perdere colleghi sull’asfalto. E dobbiamo lottare, in quanto autisti professionisti e in quanto sindacato, per condizioni di lavoro che difendono la nostra salute e la nostra sicurezza, in un ambiente che riduca al minimo le probabilità di infortuni e incidenti.
Non c’è ragione per cui il presente testo debba assumere la posizione di giudice sull’incidente lavorativo che ha visto come vittima Theochàri Zòi. Obiettivo del testo è l’analisi, la comprensione quanto più profonda possibile delle cause dell’incidente, di ciò che ha concorso alla creazione delle premesse. Per non dovere piangere altri colleghi in futuro. È questo l’omaggio che in quanto sindacato dobbiamo a Theochàri Zòi. In sua memoria esponiamo i punti chiave della nostra analisi.
Il quadro legale concernente il nostro mestiere e l’intensificazione del lavoro che ci viene imposta per mezzo del lavoro freelance.
Il quadro legale deve essere ampliato, deve adeguarsi alle nuove condizioni al fine di garantire la nostra sicurezza e la nostra salute. Il lavoro stabile, il salario fisso, un ambiente sicuro e non intensificato, le pause per tutta la durata del turno, costituiscono fattori che possono diminuire gli incidenti sul lavoro.
Per tutti questi anni, come sindacato, abbiamo analizzato la nostra realtà lavorativa, le cause più profonde che possono provocare l’incidente sul lavoro e/o distogliere la nostra attenzione dalla strada ed abbassare i nostri riflessi. E la causa più importante è indubbiamente l’intensificazione del lavoro e le pressioni a più livelli che questa intensificazione crea sui fattorini.
E tuttavia, nonostante l’analisi argomentata che portiamo avanti ormai da 15 anni, con l’introduzione delle piattaforme digitali nel settore della distribuzione vediamo come l’intensificazione venga presentata come una prospettiva “attraente” che intrappola i lavoratori nell’illusione di un “guadagno” apparentemente veloce.
La nuova condizione di lavoro è dunque il lavoro a cottimo o, detto altrimenti, il ben noto lavoro freelance. Lo ha introdotto in Grecia per prima l’azienda Wolt nel 2018 e dal luglio del 2021 l’azienda e-food l’ha seguita a ruota. È una ben nota trappola per topi: orario flessibile, libertà nell’organizzazione del piano di lavoro e tariffe iniziali alte per unità di lavoro svolta. Nella pratica, lavoro di 10 o 12 ore al giorno, sei o sette giorni alla settimana perché ne esca un salario pari a quello di un lavoratore salariato che lavora otto ore al giorno per cinque giorni la settimana. Diritti assicurativi ridotti o inesistenti, a seconda del sistema di lavoro (con o senza partita IVA). Inoltre, questo specifico sistema di lavoro nasconde anche altri pericoli che non risultano visibili sin da subito visibili. Chiunque lavori a cottimo è sempre a caccia di consegne per aumentare le sue entrate. Ciò significa che il freelancer vuole ritirare e consegnare le ordinazioni quanto più velocemente possibile. E quando il locale non ha l’ordine già pronto nel tempo previsto, cominciano le proteste e l’ansia sale, poiché il tempo si converte in denaro. E il denaro, la ricchezza tanto sperata e allo stesso tempo irrealizzabile, poiché è cieca[i], nel caso specifico mette da parte questioni legate alla salute, alla sicurezza e ai mezzi di protezione personale.
Il risultato di tutto ciò è che finiamo per correre, per perdere la concentrazione sulla strada, per trascurare gli stop e i semafori rossi, per confondere le precedenze delle vetture agli incroci. Persino se guidassimo correttamente, la nostra reazione ai difetti della strada o al probabile errore di un altro conducente è spesso ridotta. Inoltre, nel caso statisticamente certo dell’incidente sul lavoro, il falso freelancer non ha diritto a dichiarare l’incidente come infortunio sul lavoro e ad essere rimborsato di conseguenza (mentre il lavoratore subordinato riceve l’equivalente di 15 giorni di paga da parte del datore di lavoro e il resto da parte dell’EFKA[ii]). Ricapitolando, il falso auto-impiego è lavoro salariato subordinato con regime di lavoro intensificato e, per l’appunto, senza diritti assicurativi. Allo stesso tempo, le aziende di intermediazione digitale (piattaforme) abbassano il costo del lavoro al minimo e aumentano i profitti al massimo.
Il secondo grande problema che è derivato dall’introduzione delle piattaforme digitali nel settore della distribuzione è l’ampliamento delle zone in cui lavoriamo. La scelta di e-food di seguire “l’innovazione” di Wolt di ampliare le zone di lavoro, riempie di ansia e nervoso i colleghi fattorini. Come sindacato, abbiamo preso posizione dettagliatamente sulla questione del raggio di consegna, nel nostro testo “Appunti sul regime lavorativo in e-food #2”. Per noi, il criterio del raggio non può che essere quello dell’esperienza alla guida – non la ricerca del profitto da parte dell’azienda. Al contrario, la maggioranza dei colleghi ha ripetutamente protestato contro le grandi distanze che percorriamo. Ci sono casi dove il totale dei chilometri tra la posizione del fattorino, del locale e del cliente può arrivare a 20 chilometri! Indicativamente riferiamo alcuni esempi che sono noti a tutti noi: la posizione del fattorino a Rénti, il locale a Sìntagma e il cliente a Moschàto o Marùsi-Patìsia-Chalàndri, Sìntagma-Egàleo-Petràlona ecc.
Inoltre, “l’apertura”, il continuo ampliamento delle distanze ci costringe a lavorare in zone che non conosciamo, in cui non ci viene dato il tempo necessario per acquisire l’esperienza di guida necessaria. È impossibile conoscere in dieci aree diverse i probabili difetti delle strade, i vicoli ciechi, le strade che raccolgono acqua, gli incroci “assassini” e gli STOP nascosti. Le zone sconosciute ci costringono ad attivare il GPS per orientarci più velocemente, per non tardare nella consegna, per non essere giudicati negativamente dall’app della piattaforma digitale. Ed invece di avere la testa sulla strada e sugli altri conducenti, la nostra attenzione si distoglie e in poche frazioni di secondo la probabilità di cadere aumenta esponenzialmente. Tutti conosciamo qualche collega che ha avuto qualche incidente serio o leggero a causa dell’ignoranza della zona, unita all’eccessivo attaccamento al navigatore. Tutti siamo stati in pericolo a causa di questo tipo di distrazioni. La situazione lavorativa diventa ancora più pericolosa nel caso di colleghi che con una mano reggono il manubrio e con l’altra guardano alla mappa nello smartphone. E facciamo notare come anche se le aziende-piattaforme ci avessero concesso basi di supporto per il cellulare – cosa che non hanno fatto – noi, in quanto professionisti del mestiere, per fare uso della navigazione dobbiamo mettere la freccia e fermarci alla destra della strada. Dal momento che si siamo fermati con sicurezza, e mai durante tutta la durata della guida, poiché mettiamo in pericolo non solo noi ma anche chi ci sta intorno sia che si tratti di pedoni o di altri conducenti.
Contemporaneamente, l’irrazionalismo che regola il continuo allargamento delle distanze porta all’aumento del tempo di consegna, che a sua volta aumenta la probabilità di annullamento della consegna da parte del cliente. E dal momento che la consegna viene cancellata, l’ansia, il nervoso e la pressione del fattorino aumentano mentre perde ulteriore tempo nella comunicazione con la piattaforma per mezzo dell’applicazione. La ciliegina sulla torta è che sotto queste condizioni non sono pochi i casi in cui i colleghi freelancer sono obbligati a riportare indietro la consegna al locale per ordine di e-food o della tal altra piattaforma! E la spirale irrazionale continua la sua traiettoria sfrenata mentre, dopo i ripetuti intoppi nel processo di prelievo/consegna, è molto probabile che la consegna successiva venga consegnata in ritardo dal fattorino e che arrivi ancora più tardi dal cliente, con la probabilità di una nuova cancellazione che aumenti lo stress, la stanchezza e la probabilità di incidenti sul lavoro. Si tratta di un circolo vizioso che si ripete sempre più spesso e che ci mette in una posizione difficile, mentre ci troviamo, con la responsabilità delle aziende di intermediazione digitale, di fronte a clienti scontenti. Come risultato, tutti noi e in maggior misura i colleghi freelancer, il cui salario dipende dal numero di consegne che portano a termine ogni ora, vengono pressati in modo insopportabile e finiscono per correre incessantemente al fine di ridurre il tempo di consegna, ponendo la propria integrità fisica in costante pericolo.
È un dato di fatto che, anche nel caso di colleghi con rapporto di lavoro subordinato, si riscontra un’aumentata ansia per la realizzazione di quante più consegne possibile. Dopo la vittoria di settembre, e-food promise di abolire il sistema arbitrario di valutazione che ci divideva in categorie e che ci restituiva le spese per il carburante in forma di bonus. Tuttavia l’azienda non ha rispettato la sua promessa e alla fine ha abolito solo uno dei tre livelli di valutazione. Conseguenza di ciò è che continuano le discriminazioni che la valutazione arbitraria da parte dell’azienda ci impone, e che ci fanno competere tra di noi per il “primo posto sul podio”. Con la fine del mese il “primo posto” rende il doppio dei soldi del secondo. La differenza della somma costituisce per molti un incentivo allettante. In questo modo, la “caccia alla consegna” e l’intensificazione dello sfruttamento trovano posto anche nel regime di lavoro subordinato all’interno della nostra realtà lavorativa.
Colleghi e colleghe, l’intensificazione e l’ansia aggiuntiva che ne deriva funzionano esclusivamente a nostre spese. Il nostro ambiente di lavoro sono le strade caotiche della città, ci muoviamo su due ruote, tra veicoli in movimento, a fianco di autisti nervosi. E a tutto ciò si aggiungono i pressanti e continui avvisi dell’applicazione. Colleghi e colleghe, siamo obbligati nei nostri stessi confronti e verso i nostri cari, a rivendicare un ambiente di lavoro sereno, libero da stress e tensioni. Ciò è imperativo per la nostra salute e la nostra sicurezza, per evitare la trappola dell’ansia e per guidare con prudenza. Con due mani sul manubrio e gli occhi ovunque. È nostro diritto lavorare e vivere in accordo coi nostri bisogni. E quando siamo tutti uniti come un unico pugno, come lo scorso settembre, siamo sicuri che ce la faremo.
L’obbligo dei datori di lavoro a fornire mezzi di protezione personale che soddisfino i massimi requisiti necessari.
Una tra le rivendicazioni fisse di SVEOD riguarda i Mezzi di Protezione Personale (MAP). Riportiamo il paragrafo 56 della legge 4611/2019 che si riferisce alla distribuzione di prodotti: “Il datore di lavoro rifornisce i lavoratori dell’attrezzatura protettiva adatta che serve al conducente del motore o della motocicletta, sia che questa sia di proprietà del lavoratore oppure del datore di lavoro, per tutta la durata del lavoro, per il trasporto o la distribuzione di prodotti ed oggetti. Come attrezzatura di protezione adatta si individua il casco protettivo, come riportato dal paragrafo 6 dell’articolo 12 del Codice della Circolazione (v. 2696/1999), cappotto adatto alla protezione del conducente, protezione antipioggia, guanti e gilet catarifrangente”.
Tre anni dopo la votazione della legge 4611/19 molte aziende continuano a non rispettarla e a non fornire i MAP, mentre altre la interpretano come gli fa comodo e usano i MAP più come strumento pubblicitario che come mezzo di protezione personale. Per esempio e-food fornisce casco, cappotto, gilet, guanti e impermeabile. Di questi, gli unici che possono caratterizzarsi come mezzi di protezione personale per gli incidenti sono i guanti e il casco. E nonostante il casco corrisponda solo rudimentalmente alla relativa certificazione, la sua qualità è tra le più basse del mercato e come conducenti professionisti riteniamo che sia assolutamente insoddisfacente in termini di resistenza e di protezione poiché si tratta di un casco aperto che lascia il volto e specialmente il mento scoperti e non protetti.
Inoltre, il cappotto fornito dall’azienda non dispone delle protezioni necessarie. Serve più come pubblicità mobile per l’azienda che altro, perché la gente veda il logo di e-food nelle strade. È ovvio come l’azienda abbia chiuso un occhio alla definizione “adatto per la protezione del conducente”. Noi tuttavia non ci stancheremo di ripetere in tutti i modi e in tutte le direzioni che le aziende devono occuparsi primariamente della sicurezza dei lavoratori e successivamente della propria pubblicità. E vale la pena sottolineare che e-food come ogni altra piattaforma digitale, ha la possibilità tecnica di studiare i frequenti incidenti, di raccogliere i dati al fine di formulare un’immagine complessiva dei fattori che possono concorrere alla loro prevenzione. Potrebbe istruirci continuamente per farci conoscere i maggiori pericoli al fine di evitarli, per farci lavorare in condizioni di maggiore sicurezza ed efficacia. Al contrario, sceglie di considerarci sacrificabili, di spingere per la massima produttività, di rifiutare la responsabilità per eventuali rimborsi per mezzo del finto auto-impiego (lavoro freelance). Quanti incidenti sul lavoro, senz’altro seri, vengono seppelliti nel silenzio e nell’indifferenza senza che vengano risarciti? E di chi è la responsabilità reale per questi incidenti, se non della crudeltà e dell’indifferenza dello stato e dell’azienda?
Le autorità competenti per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro devono essere dotate di personale sufficiente per promuovere il diritto del lavoro.
La conversione del SEPE (Ispettorato sul Lavoro) in istituzione indipendente (legge Chatzidàki – 4808/21, articoli 102-125) comporta la sua svalutazione, e per estensione la svalutazione del lavoro e della nostra stessa vita. L’articolo 22 della Costituzione afferma esplicitamente “che il lavoro costituisce un diritto il quale è tutelato dallo Stato”. Il KEPEK (Centro di Prevenzione dei Rischi sul Lavoro) in quanto settore dell’Amministrazione Periferica del SEPE viene colpito in egual modo dalla legge antioperaia. E la narrazione che segue è caratteristica:
Valorizzando il nostro ruolo istituzionale come sindacato di primo grado, come “Assemblea di Base dei Lavoratori con Bici e Moto”, il 9 febbraio del 2021, abbiamo chiesto all’“Amministrazione Periferica dell’Ispettorato per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro” di effettuare un controllo su una serie di aziende dell’area metropolitana di Atene in relazione alla sicurezza dei colleghi fattorini. Tra le aziende avevamo incluso anche e-food.
Nella lettera ci eravamo espressi anche in relazione ai requisiti del casco: “Sottolineiamo che stando alla nostra esperienza, i caschi devono assolutamente essere sia integrali (full face) che apribili (flip up) mentre in molti casi (quando vengono forniti) non rispettano i requisiti richiesti oppure non coprono il mento ed espongono il lavoratore alla possibilità di seri infortuni in caso di caduta”. Inoltre per quanto riguarda il cappotto avevamo sottolineato: “il giubbotto adatto alla protezione del conducente deve possedere protezioni per le ossa della schiena, delle spalle, dei gomiti e non deve essere un cappotto pubblicitario che riporti il logo dell’azienda”.
L’ossimoro della storia è che in condizioni di pandemia, i controlli da parte di questo specifico settore del SEPE vengono svolti con eccessivo zelo. Tuttavia invece di controllare le aziende sulla fornitura dei Mezzi di Protezione Personale, dispensano multe ai colleghi fattorini che non hanno la maschera posizionata nel modo giusto sul volto. È perciò evidente che le autorità competenti possono funzionare quando vi à la volontà politica. Solamente, come sindacato non siamo d’accordo sulla direzione in cui agiscono. E come sindacato specifichiamo quanto segue: la sola direzione accettabile quando si effettuano controlli non può che essere rivolta all’epicentro della sicurezza e della protezione dei lavoratori. La serietà che i meccanismi di controllo devono mostrare quando si parla del nostro mestiere è di massima importanza, poiché sulla bilancia vi è la nostra stessa vita.
CONTINUEREMO A GRIDARLO FINO A CHE NON SARÀ UN FATTO COMPIUTO: ASSICURAZIONE DA PROFESSIONE USURANTE
Lo ripeteremo per l’ennesima volta fino a che coloro che stanno a capo della democrazia borghese non legiferino l’ovvio: il nostro mestiere presenta un alto grado di pericolosità, gli incidenti sono frequenti e alcune volte mortali, i lavoratori in strada sono esposti a qualsiasi tipo di fenomeno atmosferico estremo, il lavoro di lunga durata con la moto o la bici crea problemi muscoloscheletrici ai conducenti e dopo 15, 20 o 30 anni di lavoro non abbiamo la possibilità di continuare ad esercitare il nostro mestiere. Non è uno scenario fantascientifico, né ce lo siamo tirati fuori dalla nostra testa. Esistono le relative perizie e gli studi, così come il nostro commento che condensa i ragionamenti, le osservazioni e l’opinione dei rispettivi medici del lavoro (https://sveod.gr/?p=2768).
È nostra convinzione che la caratterizzazione del nostro mestiere come pericoloso e usurante, conduca a una serie di adeguamenti, tanto da parte dei datori di lavoro, quanto dei colleghi:
- I datori di lavoro saranno costretti a fornirci l’attrezzatura con i Mezzi di Protezione Personale adatti.
- Ogni tipo di pressione sul lavoratore durante l’attività lavorativa sarà da considerarsi fattore che contribuisce a provocare incidenti sul lavoro: i datori di lavoro saranno obbligati a mostrare il rispetto necessario alla tutela della nostra salute e sicurezza.
- Complessivamente, la cultura di guida della “competizione di strada” con la quale siamo stati cresciuti come professionisti ma anche come semplici conducenti, si rivelerà come un fattore di morte.
Colleghi e colleghe, le attività, le azioni, le analisi e i ragionamenti che svolgiamo non hanno carattere occasionale. Non “ricerchiamo l’occasione adatta” per parlare. Ci siamo espressi ripetutamente e dettagliatamente, spiegando quali sono le varie facce della realtà lavorativa del nostro mestiere. Come negli ultimi 15 anni, così anche ora, come sindacato siamo in dovere di far luce a 360 gradi sulla situazione complessiva del nostro primo collega di e-food morto sul lavoro. La nostra mente è sempre rivolta a tutti i nostri morti e ai nostri feriti, a tutti coloro che non sono mai stati registrati, che vengono gettati in strada senza lavoro al primo infortunio, in assenza di qualsiasi tipo di previdenza sociale, come pezzi di ricambio usati.
Nei nostri cortei, nei vuoti che lasciamo tra le nostre moto, è lì che si trovano i nostri morti, i loro volti sconosciuti, coi loro nomi. E attraverso di noi, la loro voce continua a gridare: “buon cammino, l’importante è tornare a casa».
* Facciamo notare che il messaggio con il quale l’azienda ha comunicato che il collega era venuto a mancare, ha sollevato una serie di questioni. Riportiamo il pezzo in cui ci viene comunicata la morte del collega:
“Oggi è un triste giorno per tutti noi in e-food. Theochàri Zòi, 44 anni, nostro fattorino negli ultimi 4 mesi, ha perso la vita in un incidente stradale. Dal momento che siamo venuti a conoscenza del tragico accaduto, siamo in contatto con la famiglia e con le istituzioni. Le precise circostanze dell’incidente, che è avvenuto all’alba di sabato in via P. Fàliro, sono sotto oggetto di indagine da parte della polizia. Per la celebrazione della messa funebre informeremo con una successiva comunicazione. Ci troviamo naturalmente a fianco della famiglia del defunto, e la supportiamo in modo tangibile”.
Come sindacato dobbiamo chiarire che: in momenti di dolore e di perdita la comunicazione del tragico accaduto deve essere chiara ed esplicita. L’“incidente stradale” che viene riportato nasconde intenzionalmente il fatto che in via Paleò Fàliro ha avuto luogo un “incidente stradale sul lavoro”. Theochàri Zòi ha perso la sua vita durante il turno di lavoro, alle 00:30. Non abbiamo a che fare con un altro “incidente stradale all’alba del sabato”. L’azienda ha cercato opportunamente di “intorbidire le acque”. Ha lasciato spazio di proposito all’interpretazione, così che nelle piazze si parlasse di un collega che stava tornando a casa sua, la notte tardi, dopo una serata di divertimento con gli amici.
Noi, come sindacato, raccogliamo il guanto alle provocazioni e all’ingiustizia e dichiariamo verso ogni direzione che non permetteremo alla crudeltà degli interessi economici che si nutrono del nostro sangue, agli utili idioti e ai meschini di ogni genere di macchiare la memoria del collega Theochàri Zòi.
Assemblea di Base dei Lavoratori con Bici e Moto.
Gennaio 2022.
[i] Nell’antica Grecia, il dio della ricchezza “Plutos” era cieco, e per questo motivo era solito cadere tra le mani di uomini malvagi e indegni. [n.d.t.]
[ii] Fondo Unificato per la Sicurezza Sociale, agenzia governativa. [n.d.t.]